Visto a Latronico
Pietro Gaglianò

Si può cominciare da questo: un manifesto 70x100 che riferisce di una “pericolosa tigre a Latronico” e che nell’estate del 2009 ha ricoperto, nottetempo, i muri della città. Il manifesto, riproducendo la grafica e la composizione tradizionali, è identico a quelli che anticipano l’arrivo del circo annunciando, e promettendo, meraviglie esotiche, esibizioni strabilianti, spettacoli che non sono stati mai visti prima e che, con ogni probabilità, non verranno visti affatto. Il progetto che Giuseppe Teofilo ha realizzato per Latronico si fonda sulla diade tra la vista (intesa qui come certificazione del reale, strumento percettivo per la costruzione della propria soggettività e della relazione con il contesto) e la narrazione, che trascende la verbalità e si sviluppa su un piano di cultura sociale, condivisa e stratificata collettivamente. La gente può credere o non credere alla presenza di un feroce felino, e il medium scelto dall’artista non punta certo alla mistificazione della realtà, ma si avranno almeno due certezze: nessuno lo avrà visto e tutti ne parleranno.



Nei piccoli centri, specialmente in quelli che si trovano in un sud geografico e soprattutto mentale, la lingua esercita una funzione di collante culturale, molto più delle immagini. La narrazione si dispiega coralmente lungo le linee attorcigliate di un telefono senza fili e senza wi-fi, come innumerevoli code di un serpente le cui spire più pesanti si avvolgono nella piazza e nei bar. La tigre, chi l’ha vista? Questa funzione autenticamente mitopoietica è indifferente alla tangibilità e alla fondatezza del proprio svolgersi, e nel tempo crea quelle figure mentali e quei costrutti espressivi che rendono ogni paese, ogni piccola città, riconoscibili a sé stessi.

Parlando, e parlando di sé come collettività riunita sotto il nome antico e familiare del paese, i singoli edificano il senso di comunità, accettano l’imprevisto, e anche l’estraneo, nelle forme del magico, facendolo convivere con il tempo quotidiano, con le cure, i fatti, le cose. La tigre che non esiste è stata, così, addomesticata, anche se non resa del tutto innocua - il suo essere domestica significa solo che è stata ammessa nello spazio della domus, tra le pareti di casa, ma questa convivenza ha ancora a che fare con la pericolosità delle sue zanne, con l’odore selvatico e muschiato della sua pelliccia. Deve mantenere, la tigre di Latronico, la natura oscura alla quale appartengono i miti silvani, ed è con questa presenza mai del tutto neutralizzata che la comunità impara a vivere: la sua vitalità e durevolezza dipendono dalla sua permeabilità. Il titolo del lavoro di Teofilo (Richard Parker è a Latronico) contiene tutti gli elementi per una antropologia di base della narrazione condivisa: c’è il nome del luogo, che sui suoi abitanti ha un effetto magnetico, e c’è un personaggio di fantasia, la tigre del romanzo di Yann Martel, Vita di Pi. Ma c’è soprattutto quella declinazione al presente del verbo essere, la dichiarazione che qualcosa sta accadendo, che la vita è in corso e si confonde, arricchendosi, con l’arte; e la presenza dell’arte si rivela come esperienza, esattamente come la vita quando la creazione di senso viene partecipata e non trasmessa verticalmente.

La maggior parte dei progetti realizzati per A Cielo Aperto condividono questa centralità, questo investigare i confini della rappresentazione immateriale: non è un ossimoro, la rappresentazione immateriale, è la descrizione di come l’immagine tracima dai propri confini e diventa parte del tempo. Gli artisti usano la forza di quello che trovano tra la gente a Latronico, i percorsi fatti a piedi, il ricordo, la percezione della distanza, il rapporto antico con la natura, le abitudini e le loro trasformazioni. Si tratta di un patrimonio che prende forma nello scorrere della parola, nel racconto, nel riferirsi a qualcosa che esiste, ma è sempre un po’ lontano dal punto in cui si è mentre se ne pronuncia il nome (la montagna, la chiesa, la casa), oppure a qualcuno che non c’è, o non c’è più, ma è tuttavia ben presente. O anche a qualcosa che è stato nel passato, di cui si è detto, di cui ancora si dice, e che ancora continua a influenzare la vita.

Il Faro di Michele Giangrande descrive il modo in cui la comunità ha bisogno di radunarsi presso un elemento simbolico, che nelle sue nuove manifestazioni è scollegato dalla funzione dalla quale è nato come necessità ed esprime, invece, un valore connettivo inestimabile. La vita diurna di Latronico è regolata, ogni quarto d’ora, dal suono della campana della chiesa di San Nicola, in cima al borgo antico, percepibile quasi da tutto l’abitato. Interrompendo una consuetudine secolare, il rintocco è stato sospeso per le ore notturne (dall’una alle sei), privando chi vi era abituato del conto del tempo, antidoto alla solitudine, e del conforto dello spazio, misurato dalla distanza del campanile, che è al centro di ogni cosa e anche al buio, con il suono, restituisce l’ordine delle cose. Giangrande ha posto nel vano della cella campanaria la sorgente di un fascio di luce rossa che si attiva in sostituzione del rintocco, ogni quindici minuti, per tutta la notte. La luce rossa colma il vuoto del silenzio e si proietta oltre, superando idealmente i confini della cittadina e quelli del tempo presente, mette in atto un richiamo, il segno di una veglia paziente che si rivolge a chiunque stia camminando lontano da Latronico. Faro è il simbolo di una fede laica nei luoghi e nella memoria, nella possibilità di conciliare la vita di oggi con il tempo che trascende il presente.



A questo spazio del possibile si riferisce anche il lavoro di Stefano Boccalini, Una parola su Latronico, un lavoro sul paesaggio sociale fatto di parole motivate dalla memoria dello sguardo e degli altri sensi. Le parole sono state scelte dagli abitanti di Latronico, vergate su cartoline inviate all’artista, e contribuiscono a un esercizio di ricostruzione che supera gli stereotipi del discorso identitario.

Raccontando microstorie personali e familiari, le singole parole sono la traccia di un punto di vista individuale, e nella loro oggettivazione (fuse in metallo, sono state fissate ai muri esterni delle case) non sono più riferibili a una vicenda privata. Le parole diventano quindi i termini di un lessico popolare e condiviso, odoroso di abitudini dello sguardo, poroso come la memoria di ogni comunità.



La stessa memoria si deposita e si rivitalizza negli specchi che Virginia Zanetti ha posto in dodici punti di Latronico: Gli occhi del mondo sono il medium di un contatto tra la terra e il cielo e accolgono, senza trattenerle, le esperienze individuali di chiunque vi si accosti; ed è ancora una memoria che non appartiene alla storia ma al tempo, in bilico tra quello che è dicibile e quello che non lo è, tra le cose viste e quelle solo immaginate, ad animare i progetti di Eugenio Tibaldi, Antonio Ottomanelli, Francesco Bertelé, e quelli degli artisti che sono anche fondatori e ideatori di A Cielo Aperto, Bianco-Valente e Pasquale Campanella. Ogni opera nasce da uno sguardo profondo, più profondo della superficie visibile di Latronico, e spinge tutti i suoi interlocutori, avventizi e locali, a provare a ricucire il senso del tempo, così immerso nella realtà, senza il crisma della verifica, e amplificato dall’esperienza dell’arte.
Tutto questo è stato visto a Latronico.



Associazione Culturale Vincenzo De Luca
L’Associazione Culturale Vincenzo De Luca si costituisce nel 2005 a Latronico, in Basilicata. Dal 2008 promuove, autofinanziandosi, il progetto A Cielo Aperto, curato da Bianco-Valente e Pasquale Campanella, un’occasione per fare il punto sul senso e sui possibili sviluppi dell’arte in relazione a un contesto locale e alle sue specificità. La progettualità praticata nei laboratori è un elemento fondamentale per il dialogo e il coinvolgimento dei cittadini. La politica culturale messa in atto si inserisce nel dibattito in corso sull’arte contemporanea, per lo sviluppo di un localismo consapevole, da cui far emergere storia, forme materiali e simboliche che accrescano il valore di spazio e luogo pubblico.

Info
Associazione culturale Vincenzo De Luca
Vico Settembrini 2 – Latronico (PZ)
Tel 0973 858896, cell. 339 7738963
associazionevincenzodeluca@gmail.com
www.associazionevincenzodeluca.com


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